Il Maestro Andrei Filipov – trent’anni fa ex direttore dell’orchestra del Bolschoi ma poi defenestrato dal regime di Breznev e ora ridotto a semplice addetto alle pulizie nel medesimo teatro – coglie l’attimo: si ritrova per caso tra le mani un fax del prestigioso Teatro Chatelet, che invita l’orchestra del Bolschoi ad esibirsi a Parigi, decide di non avvertire i suoi superiori e riunisce la sua vecchia orchestra ormai in disarmo per tentare una portentosa rentrée.
A undici anni di distanza dal suo film più noto, lo scoppiettante Train de vie che gli fruttò nel 1998 la notorietà internazionale, il rumeno Radu Mihaileanu confeziona il suo capolavoro: un’opera baciata dalla grazia per due ore ininterrotte, specialmente se una commedia (laddove il ritmo è tutto e anche una piccola caduta è più grave che in un altro genere), è merce rarissima e capita due-tre volte a decennio. Accostarla ai grandi classici di Wilder e soprattutto Lubitsch (data la trama) non è soltanto lecito ma anche obbligatorio, visto anche lo spessore sempre più evidente col passare dei minuti, che nobilita il film non soltanto nei contenuti ma anche nella forma.
Lo spessore, si diceva: se Le concert è nella sua prima parte solo una commedia etnica dal ritmo balcanico e dall’umorismo yiddish, pian piano cresce e diventa qualcosa di più, una storia universale che racconta la Storia, adattandosi perfettamente ad ogni potenziale regime dittatoriale passato, presente e futuro; proprio come in Vogliamo vivere di Lubitsch, l’arte e la finzione ono i grimaldelli per l’evasione e l’oblio delle sofferenze; come in Train de vie, i personaggi di Mihaileanu sono impostori “per forza”, animati dal fuoco sacro che alimenta i sogni e ogni tipo di imprese, meglio se impossibili. E’ spontaneo simpatizzare con loro (primo segreto di ogni commedia, l’empatia con i protagonisti) e tutto il resto vien da sé, comprese le brillanti caratterizzazioni dei personaggi secondari (su tutti il direttore francese dello Chatelet) e l’impeccabile tenuta narrativa di ogni frammento: non ci sono scene inutili o malriuscite, un prodigio per un film dall’andamento così folle e frenetico. La scena finale del concerto di Cajkovski merita un discorso a parte, perchè è un vero miracolo: montata su tre diversi piani narrativi (il presente, il flashback al Bolschoi, il flashback siberiano), raggiunge il suo climax nel montaggio mozzafiato sull’assolo di violino di Mélanie Laurent portando quasi naturalmente alle lacrime con la sola forza delle immagini; raramente si è vista un’opera comica con un epilogo di tale potenza scenica (vengono in mente alcuni finali di Chaplin, capite da voi che si tratta di robe grosse). Un pezzo di cinema memorabile oltre che di straordinaria difficoltà, vista anche la necessità di ridurre a 12 minuti i 22 di durata originale del concerto di Cajkovski. Il miglior film visto al Festival di Roma 2009, ma non solo; il miglior film del 2009, e la miglior commedia dal 2000 ad oggi. Mélanie Laurent, già apprezzata in Bastardi senza gloria di Tarantino, manderebbe in frantumi parecchi cuori.
Voto: 8
prima di scrivere di cinema impara l’italiano: “trent’anni fa ex direttore” è una frase senza senso. voto 4
Touché. Ma il 4 è a me o al film?
Lascia stare, il pezzo invece è ben scritto e non sarà un refuso o un maestrino con la penna rossa a buttarlo giù. 8 al film e bella recensione. Continua a scrivere, che l’italiano lo conosci benone.
Grazie Hyde! Tra l’altro, non avevo ancora letto la frase di Sergio Rizzo…
Sto per andare a vedere il film per la terza volta, portando sempre qualcuno a me molto caro, di volta in volta. Perchè io conosco bene Chaplin, e vedo con piacere che il paragone non era venuto in mente solo a me.
In realtà questo film parla della bellezza, dell’insopprimibile tensione dell’uomo verso un attimo di bellezza assoluta, unica felicità possibile e compiuta, cosa che non dovrei dire, essendo cristiana, ma evidentemente ho nel sangue più Platone che Cristo.
O forse tutto è poi lo stesso, e Dio è bellezza. Lo dicono, a Bose.
Stilisticamente il film è una meraviglia, e va visto in lingua originale.
Sottoscrivo!
Ottimo film davvero!!!
Caro Radu,
Le scrivo per comunicarLe le mie emozioni, intensissime, che ho vissuto vedendo” Il Concerto”, film che ho visto e rivisto venti e più volte in pochi giorni.
La lunga scena finale, che ho apprezzato in tutte le sue molteplici e profonde sfumature, mi ha fatto tornare in mente la scena finale della Odissea di Omero, quando Ulisse dopo venti anni di peregrinazioni, di sofferenze, di tristi ricordi di un mondo che sembrava perduto in maniera irrimediabile, riesce, lui solo, a tendere la corda dell’arco da lui stesso costruito molti anni prima e a lanciare la freccia facendola passare attraverso i fori di dodici scuri allineate.
Me lo ha ricordato per quanto di catartico trionfo è contenuto in quel racconto e nella scena del suo film; entrambi giungono dopo una lunga sequenza di tormenti, di sofferte usurpazioni e di appropriazioni ingiuste della propria vita.
Ulisse ritrova il suo regno Andrei la sua orchestra, Eumeo Argo e il popolo di Itaca ritrovano il proprio Re la vecchia orchestra del Bolschoi trova il suo direttore, Telemaco ritrova il padre e Anne Marie ritrova le sue origini.
Non conoscevo Mélanie Laurent ; devo dire che sono rimasto impressionato dalla sua recitazione soprattutto in un particolare, che credo la caratterizzi tra le grandi attrici; per tutta una parte del film è una giovane donna dalle notevoli qualità tecniche di violinista ma solo un prodotto di buona scuola anche se sostenuto da un indiscutibile talento. Non c’é la donna. Poco a poco viene fuori la donna ed è la trasformazione che culmina nelle lacrime finali. Nella mia memoria ricordo poche volte in cui un’attrice sostiene una parte del genere.
Mi viene in mente, ovviamente, Joan Fontaine in Rebecca di Hitchcok, quando dalla scialba dama di compagnia nasce la donna, mentore Laurence Olivier e la sua intensa e triste vicenda.
Devo dire, inoltre, che la Laurent emana un fascino magnetico……………..francese.
Il vecchio impresario ci fa capire quanto di sano ci fosse nelle intenzioni e nei sentimenti di chi credeva in un mondo che forse non si può realizzare, contrapposto a un mondo più falso e più vuoto ma più facile, più “umano” e, forse, purtroppo, più concreto.
Sono per miei antichi motivi molto legato alla sofferenza degli ebrei nel corso della Storia e, mi consenta un’altra annotazione personale: sono molto vicino alla creazione della musica, al suo studio assiduo e pervicace e alla irripetibilità perentoria della esecuzione della musica medesima; infatti sono chirurgo e la mia vita si è svolta e si svolge intorno a tutto questo con una similitudine speculare.
Mi farebbe tanto piacere conoscerLa; mi contenterò, comunque, di rivederla ancora sullo schermo attraverso le Sue opere.
Distintamente La saluto.
Renato Jungano
Mi rivolgo a Renato Jungano. Sono l’Annalisa Santiano che ha scritto il 17 febbraio scorso. Ho letto con interesse il paragone con Omero, l’Ulisse che riesce a centrare il bersaglio, termine e realizzazione di molte fatiche……..sì, è vero. Ma lì è il raggiungimento di una Dike, che cancella una Ybris. Invece nel film è qualcosa di più, è la felicità piena di aver raggiunto l’impossibole armonia con il tutto! Qualcosa di più cosmico e profondo, come Omero ancora non aveva… ma i Presocratici sì, credo.
Già cvhe ci sono, segnalo una cosa che mi ha colpita molto: il gesto che l’attrice fa alla fine del Concerto, durante il momento suddetto,l’avete notato? Si mette una mano sul diaframma,…..respira, più volte….chiunque abbia suonato si riconosce in questo gesto profondo….perchè suonare insieme è respirare insieme, è raggiungere la Vita insieme…..l’armonia è “co-spirazione”! Di questo gesto totalmente ispirato, nel senso vero del termine, io ringrazio il regista, perchè mi ha fatto piangere a fiumi.
Cara Annalisa,
non sono in grado di valutare completamente il Suo commento, per quanto riguarda le implicazioni filosofiche.
Amo le persone che sanno dare una chiave di lettura trascendente o, se vogliamo, metafisica alle vicende umane che molte volte appaiono complesse o addirittura indecifrabili.
D’altronde non viviamo in un’imperfetta immagine di eterna contraddizione ?
Mi farebbe piacere dialogare con Lei per apprendere.
Le andrebbe di contattarmi a rjungano@virgilio.it ?
Cordiali saluti.
Renato Jungano
Ho visto per la terza volta di fila il film, è splendido, perfetto in ogni sua parte, senza un particolare eccessivo o una risata grossolana ma pieno di spirito. La dimostrazione del primo violino zingaro alla violinista che la lascia impressionata e le fa capire che nonostante le apparenze ha di fronte dei professionisti, anche se di un altra cultura, le sottotrame appena accennate (i parenti in Israele di Dimitri Nazarov, il sogno del ritorno al comunismo dell’ex funzionario politico del Bolshoj (Bol’šoj), la mafia russa, gli oligarghi del gas, l’omosessualità del direttore del teatro, i lavori o le passioni che si trovano a Parigi gli orchestrali che sono lo specchio di ciò che facevano in Russia, come a dire che il regime li aveva sciolti ma loro avevano lo stesso trovato da fare qualcosa che amavano, il nuovo corso sovietico (rappresentato dal nuovo direttore del Bolshoj) così simile al vecchio) rendono il film meritevole di altre due ore almeno di lunghezza…
Ma Radu lascia a noi intuire il tutto, si interrompe col pianto liberatorio, l’epilogo mostrato durante il concerto (il tour, la scoperta da parte di Anne-Marie Jacquet delle sue origini, lo sberleffo al nuovo direttore del Bolshoj) finisce in secondo piano rispetto al pianto, alla dimostrazione dell’emozione data dalla musica, alla redenzione che è il vero senso del film che finisce nel finale. Anche particolari come la cultura Gitana, il nuovo corso Russo, la critica con i pregiudizi (“Non gli piacciono i russi e non gli piace Čajkovskij) perchè parlare male di qualcosa che piace agli altri fa intendere che se ne capisce di più, i problemi economici del direttore del teatro francese, quelli organizzativi e quelli morali (tanto i biglietti erano stati venduti, bisognava solo motivare i Russi come i muli) vengono dimenticati… il finale cancella tutto.
E cancella anche l’inventiva del soggetto, l’ovvietà che tutti si aspettavano (la violinista è figlia del direttore d’orchestra che vuole riabbracciarla) e che invece si svela nella catarsi finale: non è così, il direttore era innamorato veramente dell’armonia perfetta e si accusava per aver distrutto le vite di Lea e Izak (cosa non vera, era stato il regime) e della sua orchestra. E questo l’aveva spinto ad orchestrare una follia che in ogni momento poteva crollare, MA se fosse andata bene l’avrebbe redento.
E’ un film bellissimo, geniale come il precedente di Radu e capisco come mai questo regista faccia un film solo dopo tanto tempo. La storia, la sua messa in pellicola, il montaggio… è tutto perfetto.
Non si fa un film simile in un attimo. Radu non è un regista Hollywoodiano, per fortuna!
La quantità è davvero un elemento secondario nell’arte. Rossini, Bellini, etc. etc…..
Ma il solista del violino non è Sarah Nemtanu?
Grazie per una eventuale risposta.
Renato Jungano